Il corpo umano si è evoluto (non è progettato) con l’obiettivo di assolvere a specifici compiti e funzioni che nel corso dei millenni lo hanno strutturato nel modo in cui lo conosciamo oggi (la forma segue la funzione).
Il cervello, e di conseguenza il corpo, riconosce la funzione. Ovvero quell’insieme di azioni messe in atto da diversi segmenti del corpo che devono essere tra loro coordinate (sia come timing di attivazione che come distribuzione delle forze) e che cooperino in modo da assolvere quello specifico compito.
Un movimento che “funzioni”, sia nella quotidianità che in una gestualità specifica, sportiva, occupazionale o estetica che sia, si sviluppa “sempre” su piani diversi (multi-planare) e coinvolge più articolazioni (multi-articolare).
Questo principio, non scoperto certo dal “functional training” degli ultimi anni, ci impone una riflessione attenta e il più rigorosa possibile riguardo l’approccio all’allenamento, alla sua funzione e alle metodiche che di volta in volta si scelgono per realizzarne i benefici.
In questa ottica, quanto è corretto parlare di “esercizio” o meglio ancora parlare di “un” esercizio in particolare (come troppo spesso si sente o si legge) come -l’esercizio- valido per quel tipo di risultato? Sarebbe come voler comprendere la trama di un film da un singolo fotogramma.
Il corpo “funziona” come un’unica struttura coordinata su più piani contemporaneamente mentre un “esercizio” potrebbe non esserlo.
In più la -struttura corpo- potrebbe avere delle limitazioni proprie e differenti da un altro (principio della diversità interindividuale) e questo renderebbe un esercizio più adatto a qualcuno piuttosto che a qualcun altro.
Il movimento non è quasi mai codificato, spesso asimmetrico e quasi sempre risponde a necessità momentanee mentre l’esercizio è ingabbiato da parametri tecnico-esecutivi o, peggio ancora, da macchinari.
L’esercizio di per sé non è quasi mai la soluzione ma bensì uno strumento attraverso il quale poter “migliorare” la risposta di una specifica azione parte di un movimento (il fotogramma in un filmato).
L’esercizio è quella parte che viene estratta da un movimento, che viene rielaborata, ottimizzata e subito reinserita nello stesso contesto motorio.
Allenare il movimento dovrebbe diventare la priorità. Cominciare a trasformare il nome degli esercizi in “verbi” che raccontino un’azione potrebbe essere il primo passo in questo percorso (abbassarsi, alzarsi, spingere, tirare, salire, girarsi, ecc.).
Il secondo passo, quello di utilizzare “verbi” seguiti da un “fine” specifico (abbassarsi a raccogliere, spingere per aprire, scavalcare quell’ostacolo, ecc.).
Allora sì che l’esercizio tornerebbe ad avere il suo posto ed il suo fondamentale ruolo nell’educazione al movimento. Tornerebbe ad essere lo strumento attraverso il quale il movimento viene ri-abilitato e grazie al quale il corpo riacquisirebbe il suo linguaggio più corretto.
Solo una visione questa, forse nemmeno la più giusta ma certamente sentita e sincera.
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